Visita al Palazzo del Bo – Università PD

Sabato 18 Febbraio 2023

Per approfondire la conoscenza della nostra città eccoci oggi al Bo, la nostra prestigiosa Università che è sorta da una costola dell’Università di Bologna nel 1222.
Si inizia la visita dal Cortile Nuovo voluto dal Rettore Carlo Anti negli anni ’30/’40 quando volle cambiare il volto di questo antico luogo. Nel 1934 l’architetto Ettore Fagiuoli realizzò questo cortile in stile razionalista, come un’”Antica Stoa” caratterizzato da alte arcate a tutto sesto in pietra d’Istria.
Spicca un Altorilievo marmoreo che celebra lo spirito combattivo degli studenti padovani dal 1848 in poi con la scritta “Hic vivunt Hic vigent Hic Renovantur in Aevum Tot Bellorum Animae”.
A destra del portone d’ingresso siamo colpiti da un’opera contemporanea realizzata nel 1995 dall’artista greco Jannis Kunellis dal titolo “Resistenza e Liberazione”. Rappresentante dell’Arte Povera, l’artista, con materiali di riuso, “poveri”, rappresenta in modo scarno, grezzo, la Resistenza partigiana e le vicende eroiche di tre professori dell’Università di Padova, la durezza della guerra e il desiderio di ricostruzione.
Vediamo ora lo Scalone monumentale realizzato da Giò Ponti aiutato dalla figlia e dai pittori padovani Pendini e Dandolo.
La “Scala del Sapere” che dall’atrio degli eroi porta al Rettorato con fregi e affreschi dai colori terrosi, è il percorso dello studente attraverso il sapere fino a giungere all’ “Alma Mater”, una Madonna laica, simbolo dell’Università, che poggia i piedi sulle opere degli studenti più famosi.
Alla base dello Scalone, la statua del grande Arturo Martini “Il Palinuro”: come il timoniere di Enea scomparve tra i flutti poco prima di raggiungere la riva, così “Masaccio”, giovane partigiano Primo Visentin, venne ucciso poco dopo la Liberazione.
Entriamo nella Segreteria del Rettorato totalmente affrescato da Pietro Fornasetti e Pendini: mappe di citta venete, la Specola, l’Orto Botanico, aspetti di Padova e dell’Università. Il blu, il verde e le tinte terrose ci abbracciano inglobando tutti gli arredi, disegnati sempre da Giò Ponti.
La Sala da Pranzo, l’Angolo della Musica, della Lettura, la Sala del Caminetto, dal pavimento, alle pareti, alla mobilia, tutto conferma come questi luoghi siano un’Opera Totale di Giò Ponti.
Dal contemporaneo passiamo alla Biblioteca: sala dagli arredi lignei del 1600, che il rettore Anti fece arrivare dalla chiesa di Santa Giustina: opera di ebanista fiammingo in legno di palissandro, quercia, bosso e pero.
E giungiamo alla famosa “Basilica” (1940) degli architetti Fagiuolo e Ponti: ampia sala divisa in tre navate da colonne rosse di cemento colorate ad incausto, con soffitto a cassettoni contemporanei, le pareti affrescate da Pino Casarin, raffiguranti i Moti del 1848, la Prima Guerra Mondiale, la guerra di Spagna e d’Etiopia, tutto intorno gli arredi di Giò Ponti.
Si giunge all’Aula Magna: in epoca medievale era la sala da pranzo della Locanda con l’insegna del bue, da cui il nome Bo (Bucranio). Dal 1493 alla fine del 1700 era il quartier generale dei Legisti ma, dal 1864, il rettore Giuseppe Meneghetti la volle sala di rappresentanza: fece alzare il soffitto, che è affrescato al centro con l’immagine della Fama, ai lati quattro medaglioni di Galileo Galilei, del cardinale Zabarella, di Emo Capodilista e di Giovanni Morgagni. Sulle pareti il Motto dell’Università: “Universa Universis Patavina Libertas”.
Le pareti sono ricoperte di stemmi araldici di rettori, consiglieri, studenti famosi dal 1590 al 1688, tutto l’arredo, creato appositamente per questo ambiente, si fonde con armonia e rispetto del luogo.
Passiamo poi nella Sala dei Quaranta, dalle pareti ricche di tele di studenti stranieri famosi. Troneggia la cattedra di Galileo Galilei che insegnò qui dal 1592 al 1610 ampliando le sue conoscenze, scrivendo il “Sidereus Nuncius” e il “Dialogo dei Massimi Sistemi”. Un grande libro aperto, opera dell’artista contemporaneo Emilio Isgrò, mette in evidenza le cancellature del testo “L’abiura di Galileo” lasciando in evidenza le parole che formano la frase “chissà se si muove davvero”.
Arriviamo al famoso teatro anatomico del 1595, primo esempio al mondo, per insegnare direttamente l’anatomia del corpo attraverso la dissezione dei cadaveri: sei gironi concentrici lignei con parapetto permettevano a 250 persone di assistere a queste lezioni; l’ultima autopsia venne effettuata il 9 maggio 1874.
Completiamo la visita nella Sala di Medicina con affreschi di Achille Fumi, artista futurista ma poi facente parte del gruppo “900” guidato da Margherita Sarfatti. Alle pareti anche i ritratti di illustri medici fra cui Morgagni, Vesalio, Falloppio, Fabrizio d’Acquapendente.
Uscendo troviamo, restaurata e illuminata, la statua della prima donna laureata in filosofia nel 1668: Elena Lucrezia Cornaro Piscopia che, con il suo esempio, ha dato la possibilità a tutte le donne di intraprendere gli studi universitari.

(Paola Romanin in Callegarin)

Condividi questa pagina