Arte cinetica. Un profilo storico

L’arte cinetica e programmata, sviluppatasi tra la metà degli anni Cinquanta e i primi Settanta, è stata definita l’ultima delle avanguardie. Quel fenomeno non costituì un movimento, bensì una tendenza ampia, entro cui operarono sia singoli, sia gruppi e collettivi.

Ci fu una forte connotazione geografica, con una radicata presenza in Europa (ma con il basilare apporto di molti latino-americani), negli stessi anni in cui gli USA vedevano tramontare le esperienze informali e affermarsi la Pop Art. La contrapposizione – anche ideologica – tra vecchio e nuovo continente, tra l’arte “consumistica” e soggettiva degli statunitensi e quella “rivoluzionaria” e oggettiva degli europei, era evidente.

Al centro dell’attenzione, nelle opere cinetiche, programmate e optical, sono lo studio dei meccanismi della visione e l’aspirazione a una resa in termini pittorici e plastici del dinamismo, dei fenomeni ottici e della luce. Il linguaggio impiegato è aniconico, ma si pone al di là di ogni movenza compositiva tipica dei vari astrattismi precedenti e contemporanei. L’intento è di superare la nozione tradizionale di arte come espressione, e di puntare al coinvolgimento dello spettatore non sul piano puramente formale o emozionale, ma su quello percettivo e psicologico. E quindi:

– stimolare effetti di modularità, distorsione, reversibilità, pulsazione;

– indagare l’instabilità e la mutevolezza della visione (“l’unica cosa stabile è il movimento”, diceva Jean Tinguely);

– sperimentare le facoltà cinetiche dell’opera, sia dotandola di movimento proprio, meccanico (per esempio tramite congegni elettrici), oppure virtuale (cioè suggerendo l’idea di dinamismo grazie a particolari procedimenti compositivi), sia attraverso l’utilizzo della luce come medium;

– “programmare” – ovvero preordinare – il risultato estetico, individuando un metodo di “costruzione” dell’immagine rigoroso e oggettivo, quasi scientifico.

L’arte cinetica, programmata e optical, come ogni importante tendenza, ha naturalmente i suoi precursori, i suoi iniziatori (il già citato Tinguely, il nostro Bruno Munari, Nicolas Schöffer, François Morellet, Jesús Rafael Soto, Yaacov Agam e Victor Vasarely in Francia), i suoi studiosi e le mostre fondamentali, rimaste quali indiscussi punti di riferimento: nel 1955 “Le Mouvement” nella Galerie Denise René di Parigi; nel 1961 “Bewogen Beweging”, allestita allo Stedelijk Museum di Amsterdam, e “Nove Tendencije”, alla Galerija Suvremene Umjetnosti di Zagabria (da qui nascerà il movimento della “Nuova Tendenza”, che raccoglierà i gruppi di “cinetisti” attivi in tutta Europa); nel 1962 “Arte programmata” nella Galleria Vittorio Emanuele di Milano; nel 1965 “The Responsive Eye” al MoMA di New York; nel 1967 “Lumière et Mouvement” al Musée d’Art moderne de la Ville di Parigi.

Come si diceva, l’arte cinetica vide fiorire negli anni Sessanta, in tutto il continente e in particolare in Italia, un notevolissimo numero di gruppi, che talora firmavano le opere collettivamente, in ottemperanza al principio del superamento dell’esaltazione romantica del pittore individualista e schiavo della ricerca del capolavoro.

Abbiamo dunque il Gruppo N (nato in realtà come Gruppo Ennea) di Padova (Alberto Biasi, Ennio L. Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi e Manfredo Massironi), il Gruppo 63 di Roma (Lucia Di Luciano e Giovanni Pizzo, che in seguito lasciarono gli altri due colleghi, Lia Drei e Francesco Guerrieri, per unirsi nell’Operativo “r”), il Gruppo T di Milano (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, e Grazia Varisco), il GRAV (Groupe de Recherche d’Art Visuel) di Parigi etc.

Inoltre vi sono artisti attivi singolarmente, o dai percorsi più molteplici e accidentati: il milanese Mario Ballocco, il quale, isolato quanto pionieristico, già dal 1952-1953 realizza opere sorprendenti, che precorrono esperienze cinetiche e optical; il veneziano Franco Costalonga, che nella seconda metà degli anni Sessanta entra nel gruppo Dialettica delle Tendenze, per poi avvicinarsi alla formazione Sette-Veneto, presieduta da Bruno Munari; la straordinaria Dadamaino, partita nell’àmbito di Azimuth, per orientarsi via via verso l’arte programmata, ma sempre con una libertà e apertura d’interessi che la condurranno a sperimentazioni personalissime sul colore, sul segno e sulla spazialità.

Marina Apollonio, triestina, figlia del critico e teorico Umbro Apollonio, gravita attorno al Gruppo N di Padova e al Gruppo T di Milano e, in antagonismo a una nozione di astrazione espressiva, persegue l’ideale di un’arte depersonalizzata, adottando sequenze cromatiche alternate e materiali industriali.

Marcello Morandini porta avanti ancor oggi una ricerca di assoluto rigore ed estrema perfezione tecnica, erede della “Nuova Tendenza” ma aperta anche a soluzioni applicative nel campo del design e del graphic design.

Paolo Bolpagni

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